Definizione medica del morbo di parkinson, disturbi connessi al morbo di parkinson, stadi della malattia, credenze popolari
Il morbo di Parkinson, caratterizzato principalmente da tremore del corpo e disturbi dei movimenti volontari, è una malattia che probabilmente ha afflitto l'umanità da sempre, tuttavia è stata identificata soltanto nel secolo scorso e oggi porta il nome dell'uomo che per primo cominciò a studiarla approfonditamente.
James Parkinson, un medico generico che praticava la professione a Shoreditch, nell'East End di Londra, pubblicò il suo Essay on thè Shaking Palsy (Saggio sulla paralisi agitante) quando aveva già sessantadue anni. La sua breve monografia, che resta un classico della letteratura medica, contiene la descrizione di un paziente che giace nella sua stanza dalle finestre georgiane, in un letto a baldacchino dove "il tremore si fece talmente violento che non solo faceva tremare le tende del letto, ma perfino il pavimento e il telaio delle finestre".
Parkinson descrisse la malattia, e la sua evoluzione, nel corso dell'intera vita del paziente in maniera così particolareggiata ed esauriente che ancora oggi non richiede quasi aggiornamenti.
Il dottor Parkinson scrisse quel saggio perchè riteneva di fondamentale importanza riuscire a distinguere le cause di questa patologia dalle altre cause di tremore e perdita di controllo sui movimenti. Fino a quel momento infatti i pazienti colpiti da qualsiasi forma di paralisi o di disturbi muscolari venivano genericamente considerati affetti da "paralisi", e ben poco era l'aiuto che si poteva dare riguardo alla probabile evoluzione del disturbo o, per gli altri aspetti, sulla patologia e i relativi trattamenti medici. Il tremore era considerato la malattia, non il sintomo. Parkinson evidenziಠil fatto che questo tipo di "paralisi" non lo era nel senso stretto del termine, ne si trattava di una particolare debolezza del paziente, era invece una estrema lentezza dei movimenti che colpiva gravemente soprattutto gli arti e si manifestava col tremore.
Fu lui il primo a indicare che la patologia andava distinta dal "tremore conseguente a un uso eccessivo di alcolici; da quello che deriva da un consumo eccessivo di tè e caffè [...] e da quello che sembra dipendere dall’età avanzata". Parkinson, descrivendo con tanta precisione la patologia, gettò le fondamenta sulle quali successive generazioni di ricercatori sono stati in grado di definire una terapia.
Definizione medica del ParkinsonUn soggetto con morbo di Parkinson è afflitto da disturbi della funzione cerebrale dovuti allo squilibrio chimico di particolari cellule nervose, localizzate in una piccola zona del cervello. Le diverse parti del cervello controllano le funzioni del nostro organismo coordinazione, movimento, equilibrio e cosi via e il buon funzionamento di queste zone del cervello dipende da un perfetto equilibrio delle sostanze chimiche denominate "neurotrasmettitori". Qualunque interferenza in questo equilibrio chimico disturba il controllo della coordinazione e del movimento. La causa principale del morbo di Parkinson è una carenza del neurotrasmettitore noto come dopamina. Che cosa esattamente provochi questa deficienza resta un mistero, e le ricerche sono tuttora in corso.
Il morbo di Parkinson è noto come malattia "degenerativa". ciò significa che è la conseguenza di un guasto delle funzioni dell'organismo, dunque non un'infiammazione ne una anormale crescita di tessuti come succede, per esempio, nel caso dei tumori. La zona che degenera a causa del morbo di Parkinson è costituita da un gruppo di concentrazioni di cellule nervose situate vicino alla base del cervello; alcune di queste cellule hanno una pigmentazione insolita nera e pertanto sono chiamate substantia nigra, vale a dire, sostanza nera. In condizioni normali queste cellule producono praticamente tutta la dopamina del cervello. Quando invece la dopamina non viene sintetizzata da queste cellule si verifica un danno che impedisce a quella parte del cervello di funzionare normalmente, causando i sintomi del morbo di Parkinson. Se infatti si riesce a ristabilire l'equilibrio chimico i sintomi si attenuano. Il morbo di Parkinson, dunque, è causato dalla graduale e progressiva perdita di cellule nervose dalla substantia nigra. Questa perdita è molto lenta e le cellule che rimangono sono in grado di compensarne la funzione per molti anni; il primo sintomo della malattia infatti non appare prima che all' incirca la metà delle cellule abbia subito il processo degenerativo. In quel momento, magari a causa di un ulteriore stress o affaticamento, i meccanismi di compensazione messi in atto dalle cellule non sono più adeguati e compare il primo sintomo spesso per scomparire di nuovo, non appena si ritorna a una situazione più tranquilla. Prima o dopo, però, la presenza costante dei sintomi diventa evidente. La malattia progredisce, anche se la velocità di tale progressione varia enormemente da soggetto a soggetto. Prima della scoperta di terapie più efficaci, il deterioramento delle condizioni di alcuni pazienti era talmente rapido da privarli completamente della loro autonomia nel giro di tre o quattro anni dal momento della diagnosi.
In altri casi potevano passare anche più di venticinque anni prima che la malattia giungesse a quello stadio. Al giorno d'oggi la progressione del morbo di Parkinson può essere fortemente contrastata da una terapia efficace.
Credenze popolari riguardo al morbo di pakinson
Dopo aver identificato le alterazioni che sono causa (patogenesi) del morbo di Parkinson siamo adesso in grado di fare piazza pulita di tutte le voci, falsità e credenze popolari che hanno sempre circondato le persone affette da tremore. Come accade anche per altre patologie, queste storie non fanno altro che provocare inutili sprechi di energie e per chi ne soffre possono perfino rappresentare un ostacolo nell'affrontare il disturbo. Molti pazienti arrivano dal medico già con le idee chiare sulle possibili cause della malattia.
Qualcuno da la colpa a qualche esperienza traumatica, a incidenti o a malattie. A volte un'operazione chirurgica sembra aver coinciso con l'insorgenza dei sintomi. Non esiste alcuna prova che eventi di questo tipo possano causare la malattia, è tuttavia plausibile che possano costituire un fattore scatenante. C’è ancora qualcuno, comunque, che stranamente crede alla vecchia storia del mangiare e bere come cause che conducono alla malattia, mentre è stato dimostrato che l'alimentazione, eccessiva o scarsa di elementi vitali che sia, non ha alcuna relazione con il morbo di Parkinson. L'abuso di alcol, tabacco, tè o caffè (colpevoli, secondo la credenza popolare, di causare la malattia prima della scoperta di Parkinson) di certo non provoca la malattia; sembra anzi che àŒ fumatori siano significativamente meno a rischio di svilupparla rispetto ai non fumatori (sebbene una volta che la patologia si è manifestata il fumo non faccia certamente bene). Anche essere sovrappeso o al di sotto del peso normale sembra non avere alcuna influenza sul parkinsonismo.
La crescente incidenza della malattia, dovuta probabilmente all'allungamento della durata della vita media, ha fatto ipotizzare che superlavoro e stress possano condurre al morbo di Parkinson. Anche questa ipotesi però può essere rigettata, insieme all'altro estremo, l'inattività . Quando la malattia comincia a insorgere i medici non dicono al paziente di mettersi tranquillo, tanto meno di smettere di lavorare la regola generale, in questi casi, è quella di andare avanti come prima, come vedremo meglio in seguito.
Stadi della malattia
I medici trovano utile distinguere la malattia suddividendola in diversi stadi di evoluzione perché questo permette loro di prescrivere terapie adeguate nel momento in cui queste possono probabilmente agire con maggiore efficacia. Nelle prime fasi si manifestano sintomi fastidiosi che non costituiscono però motivo di invalidità o di handicap: tremore, che spesso è causa di imbarazzo, oppure una goffaggine nei movimenti che richiedono precisione e che rende particolari azioni più lente e laboriose del normale. Col peggiorare della malattia si raggiunge uno stadio nel quale i sintomi provocano una completa invalidità , tanto da essere costretti a evitare una serie di azioni o a collocarne il compimento in un particolare momento della giornata. La malattia può di conseguenza limitare il tempo che il paziente vorrebbe dedicare, per esempio, al giardinaggio o allo scrivere anticipando il momento in cui l'affaticamento o l'eccessiva lentezza dei movimenti lo obbligano a fare a qualcos'altro. Questo è definito lo stadio "sintomatico grave", nel quale la malattia, non ancora sottoposta a terapia, limita le attività del soggetto ma non lo priva della sua autonomia.
L'ulteriore evoluzione della malattia si manifesta nello stadio successivo, quando il paziente cioè non è più in grado di fare da solo praticamente nulla. Si perde via via autonomia e c'è bisogno di aiuto per lavarsi, vestirsi, farsi la barba e perfino per pulire e preparare il cibo.
Per mezzo delle terapie più recenti, la speranza di vita di un individuo affetto da morbo di Parkinson oggigiorno è di poco diversa da quella del resto della popolazione. La malattia, però, nella fase più avanzata è causa di complicazioni che possono rivelarsi fatali. Polmonite, cattivo funzionamento dei reni, perdita di peso e infezioni del sangue, possono stroncare la vita di un individuo ormai in condizioni fisiche debilitate. Voglio però sottolineare un aspetto, e cioè che non si tratta di una malattia dolorosa: come un giorno mi fece notare un paziente, con qualche perplessità nella voce: "Del resto, mi pare che ... alla fine... più o meno tutti dobbiamo morire di qualcosa...".
Disturbi connessi al morbo di parkinson
Prima di concludere la parte che riguarda la definizione della malattia, è necessario prendere brevemente in considerazione alcuni rari "sottogruppi" del parkinsonismo.Le cause più frequenti dei disturbi analoghi a quelli che si manifestano nel morbo di Parkinson sono gli effetti collaterali dovuti all'assunzione di farmaci. Alcuni tranquillanti, se usati in dosi troppo alte, causano disturbi molto simili a quelli del morbo di Parkinson e ci si riferisce ad essi con il termine di "parkinsonismo". Quando smette di assumere il farmaco il paziente guarisce, ma per alcuni soggetti l'uso costante di queste sostanze è vitale per la loro salute mentale. Questo parkinsonismo secondario può, per certi aspetti, essere alleviato con gli stessi farmaci usati da chi è affetto dal morbo di Parkinson.
Tra il 1917 e il 1927 si manifestò una malattia apparentemente sconosciuta chiamata Encephalitis lethargica, una febbre cerebrale molto grave e spesso fatale. Tra quanti sopravvissero si verificಠuna notevole incidenza di una forma di parkinsonismo. Questo tipo di malattia, nota come "parkinsonismo postencefalitico", spesso non progredisce e può essere associata ad altre invalidità di origine psicologica o neurologica. può anche non manifestarsi per anni dopo un episodio di febbre cerebrale. A partire dal 1927 l' Encephalitis lethargica è stata una malattia molto rara, pertanto l'incidenza di questa forma di parkinsonismo è diminuita ed è tuttora in costante diminuzione. La risposta alla terapia da parte dei pazienti è diversa da quelli affetti da morbo di Parkinson e per questo i soggetti che ne soffrono devono essere curati da un neurologo con una particolare conoscenza del disturbo.
C'è, infine, un certo numero di disturbi neurologici nei quali il parkinsonismo si sviluppa come parte della malattia. In linea generale qualunque condizione interferisca con il normale funzionamento della substantia nigra o delle zone del cervello ad essa vicine, può costituire causa di insorgenza del parkinsonismo. In qualche caso, tuttavia, un tumore del cervello o un colpo apoplettico possono imitare il morbo di Parkinson, cosi come altri processi degenerativi possono manifestarsi con sintomi analoghi a quelli del parkinsonismo. Distinguere tra il morbo di Parkinson e queste altre patologie è dunque di importanza vitale perchè, naturalmente, la terapia dovrà indirizzarsi verso le cause che sottostanno ai sintomi del parkinsonismo. I trattamenti farmacologici del morbo di Parkinson altrimenti riusciranno semplicemente a nascondere l'infermità senza curarla. Fare una diagnosi di parkinsonismo secondario può rivelarsi molto difficile, quindi, in caso di dubbio è opportuno che il vostro medico vi invii al neurologo.
Autore: Redazione Medicina33.com
James Parkinson, un medico generico che praticava la professione a Shoreditch, nell'East End di Londra, pubblicò il suo Essay on thè Shaking Palsy (Saggio sulla paralisi agitante) quando aveva già sessantadue anni. La sua breve monografia, che resta un classico della letteratura medica, contiene la descrizione di un paziente che giace nella sua stanza dalle finestre georgiane, in un letto a baldacchino dove "il tremore si fece talmente violento che non solo faceva tremare le tende del letto, ma perfino il pavimento e il telaio delle finestre".
Parkinson descrisse la malattia, e la sua evoluzione, nel corso dell'intera vita del paziente in maniera così particolareggiata ed esauriente che ancora oggi non richiede quasi aggiornamenti.
Il dottor Parkinson scrisse quel saggio perchè riteneva di fondamentale importanza riuscire a distinguere le cause di questa patologia dalle altre cause di tremore e perdita di controllo sui movimenti. Fino a quel momento infatti i pazienti colpiti da qualsiasi forma di paralisi o di disturbi muscolari venivano genericamente considerati affetti da "paralisi", e ben poco era l'aiuto che si poteva dare riguardo alla probabile evoluzione del disturbo o, per gli altri aspetti, sulla patologia e i relativi trattamenti medici. Il tremore era considerato la malattia, non il sintomo. Parkinson evidenziಠil fatto che questo tipo di "paralisi" non lo era nel senso stretto del termine, ne si trattava di una particolare debolezza del paziente, era invece una estrema lentezza dei movimenti che colpiva gravemente soprattutto gli arti e si manifestava col tremore.
Fu lui il primo a indicare che la patologia andava distinta dal "tremore conseguente a un uso eccessivo di alcolici; da quello che deriva da un consumo eccessivo di tè e caffè [...] e da quello che sembra dipendere dall’età avanzata". Parkinson, descrivendo con tanta precisione la patologia, gettò le fondamenta sulle quali successive generazioni di ricercatori sono stati in grado di definire una terapia.
Definizione medica del ParkinsonUn soggetto con morbo di Parkinson è afflitto da disturbi della funzione cerebrale dovuti allo squilibrio chimico di particolari cellule nervose, localizzate in una piccola zona del cervello. Le diverse parti del cervello controllano le funzioni del nostro organismo coordinazione, movimento, equilibrio e cosi via e il buon funzionamento di queste zone del cervello dipende da un perfetto equilibrio delle sostanze chimiche denominate "neurotrasmettitori". Qualunque interferenza in questo equilibrio chimico disturba il controllo della coordinazione e del movimento. La causa principale del morbo di Parkinson è una carenza del neurotrasmettitore noto come dopamina. Che cosa esattamente provochi questa deficienza resta un mistero, e le ricerche sono tuttora in corso.
Il morbo di Parkinson è noto come malattia "degenerativa". ciò significa che è la conseguenza di un guasto delle funzioni dell'organismo, dunque non un'infiammazione ne una anormale crescita di tessuti come succede, per esempio, nel caso dei tumori. La zona che degenera a causa del morbo di Parkinson è costituita da un gruppo di concentrazioni di cellule nervose situate vicino alla base del cervello; alcune di queste cellule hanno una pigmentazione insolita nera e pertanto sono chiamate substantia nigra, vale a dire, sostanza nera. In condizioni normali queste cellule producono praticamente tutta la dopamina del cervello. Quando invece la dopamina non viene sintetizzata da queste cellule si verifica un danno che impedisce a quella parte del cervello di funzionare normalmente, causando i sintomi del morbo di Parkinson. Se infatti si riesce a ristabilire l'equilibrio chimico i sintomi si attenuano. Il morbo di Parkinson, dunque, è causato dalla graduale e progressiva perdita di cellule nervose dalla substantia nigra. Questa perdita è molto lenta e le cellule che rimangono sono in grado di compensarne la funzione per molti anni; il primo sintomo della malattia infatti non appare prima che all' incirca la metà delle cellule abbia subito il processo degenerativo. In quel momento, magari a causa di un ulteriore stress o affaticamento, i meccanismi di compensazione messi in atto dalle cellule non sono più adeguati e compare il primo sintomo spesso per scomparire di nuovo, non appena si ritorna a una situazione più tranquilla. Prima o dopo, però, la presenza costante dei sintomi diventa evidente. La malattia progredisce, anche se la velocità di tale progressione varia enormemente da soggetto a soggetto. Prima della scoperta di terapie più efficaci, il deterioramento delle condizioni di alcuni pazienti era talmente rapido da privarli completamente della loro autonomia nel giro di tre o quattro anni dal momento della diagnosi.
In altri casi potevano passare anche più di venticinque anni prima che la malattia giungesse a quello stadio. Al giorno d'oggi la progressione del morbo di Parkinson può essere fortemente contrastata da una terapia efficace.
Credenze popolari riguardo al morbo di pakinson
Dopo aver identificato le alterazioni che sono causa (patogenesi) del morbo di Parkinson siamo adesso in grado di fare piazza pulita di tutte le voci, falsità e credenze popolari che hanno sempre circondato le persone affette da tremore. Come accade anche per altre patologie, queste storie non fanno altro che provocare inutili sprechi di energie e per chi ne soffre possono perfino rappresentare un ostacolo nell'affrontare il disturbo. Molti pazienti arrivano dal medico già con le idee chiare sulle possibili cause della malattia.
Qualcuno da la colpa a qualche esperienza traumatica, a incidenti o a malattie. A volte un'operazione chirurgica sembra aver coinciso con l'insorgenza dei sintomi. Non esiste alcuna prova che eventi di questo tipo possano causare la malattia, è tuttavia plausibile che possano costituire un fattore scatenante. C’è ancora qualcuno, comunque, che stranamente crede alla vecchia storia del mangiare e bere come cause che conducono alla malattia, mentre è stato dimostrato che l'alimentazione, eccessiva o scarsa di elementi vitali che sia, non ha alcuna relazione con il morbo di Parkinson. L'abuso di alcol, tabacco, tè o caffè (colpevoli, secondo la credenza popolare, di causare la malattia prima della scoperta di Parkinson) di certo non provoca la malattia; sembra anzi che àŒ fumatori siano significativamente meno a rischio di svilupparla rispetto ai non fumatori (sebbene una volta che la patologia si è manifestata il fumo non faccia certamente bene). Anche essere sovrappeso o al di sotto del peso normale sembra non avere alcuna influenza sul parkinsonismo.
La crescente incidenza della malattia, dovuta probabilmente all'allungamento della durata della vita media, ha fatto ipotizzare che superlavoro e stress possano condurre al morbo di Parkinson. Anche questa ipotesi però può essere rigettata, insieme all'altro estremo, l'inattività . Quando la malattia comincia a insorgere i medici non dicono al paziente di mettersi tranquillo, tanto meno di smettere di lavorare la regola generale, in questi casi, è quella di andare avanti come prima, come vedremo meglio in seguito.
Stadi della malattia
I medici trovano utile distinguere la malattia suddividendola in diversi stadi di evoluzione perché questo permette loro di prescrivere terapie adeguate nel momento in cui queste possono probabilmente agire con maggiore efficacia. Nelle prime fasi si manifestano sintomi fastidiosi che non costituiscono però motivo di invalidità o di handicap: tremore, che spesso è causa di imbarazzo, oppure una goffaggine nei movimenti che richiedono precisione e che rende particolari azioni più lente e laboriose del normale. Col peggiorare della malattia si raggiunge uno stadio nel quale i sintomi provocano una completa invalidità , tanto da essere costretti a evitare una serie di azioni o a collocarne il compimento in un particolare momento della giornata. La malattia può di conseguenza limitare il tempo che il paziente vorrebbe dedicare, per esempio, al giardinaggio o allo scrivere anticipando il momento in cui l'affaticamento o l'eccessiva lentezza dei movimenti lo obbligano a fare a qualcos'altro. Questo è definito lo stadio "sintomatico grave", nel quale la malattia, non ancora sottoposta a terapia, limita le attività del soggetto ma non lo priva della sua autonomia.
L'ulteriore evoluzione della malattia si manifesta nello stadio successivo, quando il paziente cioè non è più in grado di fare da solo praticamente nulla. Si perde via via autonomia e c'è bisogno di aiuto per lavarsi, vestirsi, farsi la barba e perfino per pulire e preparare il cibo.
Per mezzo delle terapie più recenti, la speranza di vita di un individuo affetto da morbo di Parkinson oggigiorno è di poco diversa da quella del resto della popolazione. La malattia, però, nella fase più avanzata è causa di complicazioni che possono rivelarsi fatali. Polmonite, cattivo funzionamento dei reni, perdita di peso e infezioni del sangue, possono stroncare la vita di un individuo ormai in condizioni fisiche debilitate. Voglio però sottolineare un aspetto, e cioè che non si tratta di una malattia dolorosa: come un giorno mi fece notare un paziente, con qualche perplessità nella voce: "Del resto, mi pare che ... alla fine... più o meno tutti dobbiamo morire di qualcosa...".
Disturbi connessi al morbo di parkinson
Prima di concludere la parte che riguarda la definizione della malattia, è necessario prendere brevemente in considerazione alcuni rari "sottogruppi" del parkinsonismo.Le cause più frequenti dei disturbi analoghi a quelli che si manifestano nel morbo di Parkinson sono gli effetti collaterali dovuti all'assunzione di farmaci. Alcuni tranquillanti, se usati in dosi troppo alte, causano disturbi molto simili a quelli del morbo di Parkinson e ci si riferisce ad essi con il termine di "parkinsonismo". Quando smette di assumere il farmaco il paziente guarisce, ma per alcuni soggetti l'uso costante di queste sostanze è vitale per la loro salute mentale. Questo parkinsonismo secondario può, per certi aspetti, essere alleviato con gli stessi farmaci usati da chi è affetto dal morbo di Parkinson.
Tra il 1917 e il 1927 si manifestò una malattia apparentemente sconosciuta chiamata Encephalitis lethargica, una febbre cerebrale molto grave e spesso fatale. Tra quanti sopravvissero si verificಠuna notevole incidenza di una forma di parkinsonismo. Questo tipo di malattia, nota come "parkinsonismo postencefalitico", spesso non progredisce e può essere associata ad altre invalidità di origine psicologica o neurologica. può anche non manifestarsi per anni dopo un episodio di febbre cerebrale. A partire dal 1927 l' Encephalitis lethargica è stata una malattia molto rara, pertanto l'incidenza di questa forma di parkinsonismo è diminuita ed è tuttora in costante diminuzione. La risposta alla terapia da parte dei pazienti è diversa da quelli affetti da morbo di Parkinson e per questo i soggetti che ne soffrono devono essere curati da un neurologo con una particolare conoscenza del disturbo.
C'è, infine, un certo numero di disturbi neurologici nei quali il parkinsonismo si sviluppa come parte della malattia. In linea generale qualunque condizione interferisca con il normale funzionamento della substantia nigra o delle zone del cervello ad essa vicine, può costituire causa di insorgenza del parkinsonismo. In qualche caso, tuttavia, un tumore del cervello o un colpo apoplettico possono imitare il morbo di Parkinson, cosi come altri processi degenerativi possono manifestarsi con sintomi analoghi a quelli del parkinsonismo. Distinguere tra il morbo di Parkinson e queste altre patologie è dunque di importanza vitale perchè, naturalmente, la terapia dovrà indirizzarsi verso le cause che sottostanno ai sintomi del parkinsonismo. I trattamenti farmacologici del morbo di Parkinson altrimenti riusciranno semplicemente a nascondere l'infermità senza curarla. Fare una diagnosi di parkinsonismo secondario può rivelarsi molto difficile, quindi, in caso di dubbio è opportuno che il vostro medico vi invii al neurologo.
Autore: Redazione Medicina33.com